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Il taglio è ormai certo. L’ultima speranza è il presidente del Consiglio Paolo Gentiloni. Il Fondo nazionale per la non autosufficienza vedrà una sforbiciata di 50 milioni di euro, scendendo per il 2017 da 500 a 450 milioni, di fatto vanificando l’aumento appena approvato dal Parlamento con il decreto sul Mezzogiorno e i tanti impegni presi sul punto dal Ministro Poletti. Decisamente peggio va al Fondo per le Politiche Sociali, che dai 311,58 milioni stanziati nell’ottobre 2016 scende a 99,7 milioni di euro. Una scelta fatta non imputabile al ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, ma fatta da Regioni e MeF, ha detto nei giorni scorsi il sottosegretario Luigi Bobba, rispondendo a un’interrogazione di Donata Lenzi (Pd).

Ma di cosa stiamo parlando? Quali servizi – visti i tagli – verranno meno?

Il Fondo Non Autosufficienza è nato nel 2006 con la Legge 27 dicembre 2006, n. 296 (art. 1, co. 1264), con il preciso obiettivo di «garantire l’attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti». La definizione di non autosufficienza fa riferimento alla capacità della persona di svolgere autonomamente o meno le funzioni essenziali della vita quotidiana: una persona non autosufficiente, quindi, è quella che richiede un intervento assistenziale permanente e continuativo, nella vita individuale e di relazione, cioè la persona che ha bisogno di un aiuto, anche parziale, per svolgere attività essenziali (alzarsi da un letto o da una sedia, lavarsi, vestirsi, ecc). A beneficiarne possono essere anziani e persone con disabilità.

Le risorse del FNA sono dirette a potenziare l’assistenza domiciliare, creando le condizioni perché la persona possa continuare a vivere a casa propria anziché essere costretta a scegliere l’istituzionalizzazione: ad esempio il Fondo finanzia contributi per l’acquisto di servizi di cura e di assistenza (il lavoro degli assistenti familiari) o interventi complementari al percorso domiciliare (ricoveri temporanei in strutture di sollievo). Le risorse del FNA sono aggiuntive rispetto alle risorse già esistenti e destinate alle prestazioni e ai servizi a favore delle persone non autosufficienti da parte delle Regioni e dagli enti locali e servono a coprire la parte sociale dell’assistenza sociosanitaria.

Quanto ai soldi, il Fondo è nato con una dotazione di 100 milioni di euro per il 2007, salita a 300 milioni per il 2008, 400 milioni per il 2009 e altrettanti per il 2010. Sotto Berlusconi/Sacconi/Tremonti fu drasticamente tagliato a 100 milioni per l’anno 2011 (centrati sugli interventi a favore della SLA) e non finanziato (Monti/Fornero) per il 2012. Nel 2013 tornò a 275 milioni, nella legge di stabilità per il 2014 le risorse ad esso assegnate ammontavano a 350 milioni di euro e un’intesa raggiunta fra Ministeri, Regioni e associazioni delle persone con disabilità, stabilì che il 40% delle risorse per il 2014 dovessero essere vincolate ad interventi a favore delle gravissime disabilità, inclusa la SLA. Dal 2015 (Renzi/Poletti) il fondo diventa strutturale, con una dotazione di 400 milioni di euro, pari a quella del suo massimo storico dell’anno 2009. Per il 2017 si era arrivati a una dotazione di 500 milioni di euro.

Dal 2014 una quota del FNA, pari a 10 milioni di euro e poi 15 milioni, va a promuovere interventi innovativi in materia di vita indipendente ovvero quei progetti che – in linea con la Convenzione Onu – mettano la persona con disabilità nelle condizioni di scegliere, in piena libertà ed autonomia, come vivere, dove vivere e con chi vivere.

Molto più lunga invece la storia del Fondo Politiche Sociali, previsto inizialmente dalla Legge 449/1997 e ridefinito dalla Legge 328/2000. Questo fondo è la fonte nazionale di finanziamento per tutti gli interventi di assistenza alle persone e alle famiglie. Sul sito del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali c’è la seguente definizione: «un fondo destinato alle Regioni per lo sviluppo della rete integrata di interventi e servizi sociali, come previsto dalla Legge 328/2000. Una quota del Fondo è inoltre attribuita al Ministero del lavoro e delle politiche sociali per gli interventi a carattere nazionale».

Pertanto è attraverso il Fondo Sociale che si finanziano i Piani Sociali Regionali e Piani Sociali di Zona, che territorio per territorio disegnano una rete integrata di servizi alla persona rivolti all’inclusione dei soggetti in difficoltà, o comunque all’innalzamento del livello di qualità della vita. Si tratta quindi di fondi che non finanziano specifiche progettualità – se non marginalmente – ma la rete ordinaria di interventi e servizi sociali. Il fondo quindi finanzia moltissime cose: servizi di cura delle persone, in particolare di cura dell’infanzia e degli anziani non autosufficienti, servizi e misure per favorire la permanenza al proprio domicilio, servizi per la prima infanzia, servizi territoriali comunitari, servizi residenziali per le fragilità, misure di inclusione sociale e di sostegno al reddito, interventi e servizi a contrasto della povertà e dell’esclusione sociale… Una parte del Fondo nazionale per le politiche sociali destinata al Ministero del lavoro e delle politiche sociali finanzia da anni un programma di prevenzione dell’allontanamento dei minorenni dalla famiglia di origine P.I.P.P.I. (programma di interventi per la prevenzione dell’istituzionalizzazione).

Il finanziamento massimo del Fondo Politiche Sociali risale al 2004 (Governo Berlusconi II): 1,884 miliardi di euro. Da allora gli stanziamenti sono scesi fino al minimo storico del 2012 (43,7 milioni di euro) per poi risalire (ad esempio nel 2013 il Fondo contava su 344,17 milioni di euro). Con la legge di stabilità del 2015 si è provveduto a dare al Fondo una dotazione finanziaria annua, strutturale, di 300 milioni a decorrere dal 2015. Significa a questo punto che per le Politiche Sociali c’è nel 2017 una cifra pari ad appena il 5% di quanto c’era a disposizione nel 2004, anno in cui il Fondo ha visto il suo massimo storico. Ma in mezzo, ricordiamolo, c’è stata la crisi, non le rose.

Fonte: Viva.it

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